Una galassia seminata di stelle – Il festino di Santa Rosalia tra apparati effimeri e arti decorative in una cronaca del 1693

di Rosalia Francesca Margiotta

L’11 gennaio 1693 la Sicilia fu scossa da un forte terremoto, che colpì soprattutto la Val di Noto e la Val Demone, ma anche Palermo fu interessata dal sisma. Si riportarono molti danni a chiese, case e palazzi, ma non vi furono danni alle persone[1]. L’arcivescovo di Palermo Ferdinando Bazan e Manriquez (1686-1702) il 24 gennaio successivo volle ringraziare la santa patrona Rosalia per la protezione salvifica celebrando una messa votiva di ringraziamento e successivamente esponendo la cassa delle reliquie al centro del duomo e organizzando una solenne processione[2]. Ma l’omaggio più importante alla Santa palermitana per aver liberato il capoluogo siciliano da un peggiore male fu celebrato nello stesso anno in occasione del “festino”, commemorazione dell’invenzione delle sacre ossa della Vergine romita sul monte Pellegrino. Un’attenta descrizione di quei festeggiamenti è riportata ne Li giorni d’oro nella trionfale solennità di S. Rosalia Vergine Palermitana celebrata l’anno 1693 rinovandosi l’annuale memoria della sua Inventione[3], del padre gesuita Ignazio De Vio.

L’antiporta del volumetto celebrativo, attribuita ad Antonino Grano[4], dà subito un’idea dei magnifici apparati prodotti in tale occasione (fig. 1). La rappresentazione allegorica mostra i fiumi Oreto e Aci mentre versano le loro acque in una grande conca, arricchita centralmente da un ramo fiorito, ornata da mascheroni e festoni. In alto, sorretto da putti alati, lo stemma del principe di Aci, Stefano Reggio Saladino[5], pretore della città di Palermo dal 1693-1694, il quale “per coronar l’alto merito della nostra Augustissima Vergine S. Rosalia […] volle egli festeggiare con pompa disusata da mettere invidia agli Imperatori di Roma”[6].

Tra le prime dettagliate descrizioni delle “macchine” e degli apparati creati in quella solenne ricorrenza l’autore illustra il magnifico carro Trionfale, realizzato su disegno dell’architetto Paolo Amato[7]. In proposito vi si legge: “Ergeasi sopra quattro rote contornate a disegno, si slargava ne’ lati diciotto palmi, trenta ne misuravano la lunghezza, e ben quaranta si sollevava in altezza. Nella carina, e nel fusto, e negli orli, e nello sprone e nella poppa era ricco a dovitia di profili, e ornamenti, che formavano, e listelli e goli, e diritti, e rovesci, e fogliami e frutti e arabeschi, e grotteschi. La parte anteriore della macchina era appoggiata sul dorso di due Arpie inargentate. Dietro la poppa godeano d’essere avvinte tra catene dorate le Statue degli Elementi, ciascuna nella propia divisa, e in atto d’essere soggiogato, e condotto in trionfo. Mettea fine una ricca conchiglia, su la quale assisa sopra una nuvola, e col corteggio di puttini d’argento, l’invitta Amazzone Rosalia sventolava l’insegna del suo trionfo”[8].

La strada del Cassaro “che dovea essere il Teatro della solennità di quel dì, comparve rivestita nella maniera più gaia. Pendeano da i balconi, e finestre, de i Palaggi, de’ quali è popolata quella strada magnifica, pregiatissimi drappi, ed arazzi. Gli altari eretti anche dal primo giorno, la rendeano una Galassia seminata di stelle”[9].

Ammirati osservavano il superbo spettacolo innumerevoli cittadini e forestieri. Tra questi anche il principe di Palestrina trovatosi a Palermo “con l’occasione delle sue nozze, e al nobile accompagnamento della sua corte avvezza alle magnificenze Romane, sembrò rara, e singolare quella pompa festiva”[10]. Si trattava certamente di don Urbano Barberini Giustiniani (1664-1722), che quell’anno sposava Felice Ventimiglia Pignatelli, figlia del principe Francesco IV Rodrigo e di donna Caterina Pignatelli Aragona[11].

Palermo sembrava “un firmamento di stelle […] Era tutta coronata di lumi, e rivestita d’arazzi la ringhiera de i balconi del Real Palazzo […] per additare con tante lingue, quante eran le fiammelle, il vivo, e tenero amore di sì splendido Principe verso la nostra Santa Romita, e non lasciano intanto di confermarlo, con eloquenza d’argento, li tanti e sì pregiati ornamenti, co i quali mercé la sua rara, e liberale magnificenza, è servita la Sacra Grotta del Pellegrino. Niente meno vaga, e adorna di splendore compariva la loggia scoperta con due ordini di balaustrate che va a congiungersi con la Maestosa, e magnifica Porta Nuova”[12].

Facevano corona il Palazzo arcivescovile e quello del conte marchese di Geraci e principe di Castelbuono, il cui palazzo era illuminato da torce, lumi ad olio e lanterne “né si fermava lo splendore di sì nobile Casa nella facciata di fuori, ma dava assai piu che godette dentro il Cortile di rimpetto al portone, ove accompagnata da un apparato di broccato d’oro, e sotto un gran baldacchino dell’istesso broccato, si vagheggiava una macchina animata dal numero di mille lumi riflessi: s’alzava quella da terra trenta piedi Geometrici, e andava a finire in un blasone colorito dell’Arme della Casa Ventimiglia, e Normanna, e a capo della Corona in mezzo a una ghirlanda di rose la Santa Vergine Rosalia”[13].

Ma non solo le Strade del Cassaro e della Loggia, ma anche “in quella degli Orefici, e Gioiellieri, tutte dovitiose negli apparati, magnifiche per gran copia d’argento, e di gioie, artificiosamente disposte, macchinose per varietà d’inventioni ingegnose”[14].

Ricoperta da magnifici apparati, il tutto sotto la direzione dell’architetto Paolo Amato, si presentava la Basilica. Un’incisione pubblicata dal padre gesuita de Vio (fig. 2) mostra parte degli apparati effimeri della nave della chiesa[15]. I due archi raffigurati mostrano i ricchissimi allestimenti in onore della vergine palermitana e presentano due scene in cui è protagonista la Santa romita. Nella prima Santa Rosalia “ricevendo una lampada votiva dalla sirena Partenope, pone sotto la sua protezione il Genio di Palermo”[16], nell’altra, invece, è rievocato il miracolo di Palermo liberata dalla peste del 1666[17].

 “In mezzo al Duomo come in proprio campidoglio era la cassa di sodo argento d’isquisito lavoro, che chiude le Reliquie dell’Invitta Eroina, sotto un tosello di massiccio argento, e corteggiata da tutte le altre casse d’argento, che conservano le reliquie del Santuario Palermitano. A fare spiccare la magnificenza dell’apparato sì raro, s’ordinò una pompa disusata di lumi. Dal tetto della nave pendeano per ogni trave quattro ninfe con accese candele, che cominciando dalla parte più vicina all’arco maggiore fin all’ultima, formavano una scala, ed una scena di lumi d’ammirabil vaghezza: invenzione propria del signor D. Stefano Riggio Principe di Campofranco, Nonno del presente Pretore, da cui hebbe la prima origine, e indi si è ogn’anno continuata con applauso commune”[18]. Magnifico era anche l’altare maggiore sulla sommità del quale svettava la vergine palermitana, posta su una colonna salomonica (fig. 3)[19].

Non possono non ricordarsi gli splendidi altari eretti in città per la solenne festività. Primo tra tutti quello magnifico dei Padri del Collegio della Compagnia di Gesù. Questo “posava sopra un basamento, che sollevava sei colonne alla Salomona, arricchite di arabeschi, e altri fregi d’architettura. Eravi dietro un pilastro, che sporgea fuori tra l’una, e l’altra colonna con una mensola, che sostenea un proporzionato vaso di fiori. Coronava le colonne il cornicione fregiato con vaghissimi sentimenti. Indi nel mezzo a forma di Testuggine si piegava un maestoso arco appoggiato in vistosissimi imposti. Seguiva il secondo ordine proporzionato al primo, fornito di tante altre colonne co’ suoi piedistalli, e cornicione, che girava dal vivo del di sotto, e nel mezzo si scorgea un nicchio, che dilata vasi con nuovo contorno, dentro a cui era levata in alto sopra un bel piedestallo un Aquila, costeggiata da due statue d’attorno con trombe alle mani. Era in oltre fiancheggiata la macchina d’ambe le parti da vaghe piegature di mensole, e accompagnamento di statue. Dava l’ultimo compimento il frontispizio diviso con disegno di nuovo capriccio, con l’Augustissimo Nome di Gesù sostenuto da due alati puttini. E accioche più splendidamente ornato comparisse tutto il gran corpo di questa machina, era abbellito da una dovitia di varij, e sfoggiati rilievi, e tutto coverto d’oro, e d’argento. Accrescea a meraviglia la maestà di quella mole superba un’ombrello fregiato di grotteschi, e arabeschi portati in istrana guisa, da cui pendeano pomposi raggiri di trinato velluto sostenuti da puttini in corpo d’argento. Nel vano della macchina dava assai che godere una nobilissima scena, in cui in una squarciatura di Cielo, nel centro de’ raggi framezzati da piu ordini di risplendenti nuvole, Serafini, ed Angioli, vagheggia vasi una nobile sfera del Santissimo Sagramento sostenuta da San Francesco di Borgia sopra un ricco gruppo di nuvole, vestito alla Sacerdotale con sotto a piedi elmo, e baston di comando, ed abito di San Giacomo, in atteggiamento d’additare con la sinistra la sudetta sfera, a man destra, ed al quanto più alto sostenuta pure da nuvole, e Serafini l’Immaculata Signora Maria con a piedi la luna, e per corona dodici stelle, in affettuoso sguardo del suo Santissimo Figlio: piu sotto verso la sinistra, quasi nel cuore della macchina, Santa Rosalia assisa in un carro d’argento portato dall’Aquila palermitana con una delle mani porgeva aiuto al vacillante, e poco men che cadente Genio di Palermo, e con l’altra l’accennava esser egli stato liberato per intercessione della Vergine Immacolata, e speciale divotione al Santissimo Sagramento. Alla parte destra del Genio vedevasi la Sicilia, in forma di maestosa donna, inghirlandata di spighe, piangere in atto supplichevole alla Santa, e alla parte sinistra uno scudo sostenuto da un ben atteggiato putto, nel quale era espresso il Geroglifico della Sicilia, cioè le tre gambe, figura de Tre Valli, con una infranta in piu parti, cioè il Val di Noto. Tra l’Orizonte, ed in prospettiva Oreto, che scosso, deposta l’urna, ammira vasi in attonito sbigottimento: tra le onde del mare distintamente delineata la Sicilia divisa ne’ suoi valli, e nelle sue Città destrutte dal Terremoto”[20].

 La descrizione dell’apparato festivo prosegue con la parte destra della facciata del Collegio, ove i PP. Gesuiti di Casa Professa eressero “una Maestosa niente inferiore in altura, e maestà a quella del Collegio. Fu ella disegno d’Antonio Vasquez Pittore, e Architetto Palermitano”[21], documentato in quegli anni (1695) tra l’altro nel cantiere di Casa Professa dove insieme ad Antonio Pizzillo esegue cartoni per decorazioni di nicchie[22]. S’innalzavano dalla base “otto colonne, e quattro mensole fornite delle statue d’altrettante virtù […] Chiudea il primo ordine l’Architrave, con fregio, e cornice a proporzione disposti: sotto a cui s’apriva la vaghezza dell’arco portato da quattro colonne, che reggeano una chiocciola di confacevol grandezza, in mezzo a cui facea pompa l’Inventione adatta alle circostanze correnti del Terremoto, accomodata dalla sagra Apocalissi. Scorgeasi in sembianza severa il Signore degli Eserciti con una spada alla bocca: indi da una parte un alato ministro della divina Giustitia fornito e di spada, e di tromba: dall’altra parte la Santa Vergine Rosalia in atto di riparare al minaccioso castigo: sotto l’ammanto della nostra Eroina eravi il Genio di Palermo sbigottito, e mesto, accompagnato pure da’ vicini Genij della Sicilia, di Siracusa, e Catania cascati, e dolenti. Compivano il secondo ordine Colonne, Mensole, e Pilastri corrispondenti al primo, con una loggia in mezzo fornita di balaustre, e una fonte tra una scena d’amene selve, e sopra un cartellone sostenuto da maestosi Angioli posti in argento, colla gloriosa insegna del nome di Gesù corona del tutto. Gli altari dell’una, e dell’altra macchina, e del Collegio, e della Casa Professa erano due Proscenij di Paradiso carichi, e ricchi d’un popolo di statue di sodo argento” [23].

Poco distante l’altare del Piano delli Bologni, curato dai Padri Carmelitani del Collegio Apostolico di S. Nicolò, che occupava il lato sinistro della piazza, nata da un importante intervento urbanistico della seconda metà del XVI secolo. “Si ergeva un vistoso apparato di broccato fiorito in campo d’oro; in mezzo a cui sollevasi […] un padiglione all’Imperiale, tutto di lama d’oro con frangie d’argento, le cui bizzarre cadute venivano sostentate da’ piu Amorini celesti con amabile postura ordinati. Era al di dentro il padiglione foderato di velluto cremesi trinato d’oro, sotto cui alzavasi […] un vago intreccio di piu fogliami d’oro, ed argento, con ingegnosa architettura concatenati da un superbo cartoccio arabescato, e dipinto, che terminava con l’arme dell’Antichissima religione Carmelitana. Nel mezzo principiando l’orlo del gradino superiore a tre altri, tutti arricchiti con vasi di fiori, statue, e candelieri d’argento v’era un nicchio ovato […] dentro il quale s’ammirava una macchina in prospettiva d’assai lodevol pittura. Esponea questa Palermo dalla parte del mare, dando a godere di lontananza a chi la mirava dalla Porta Felice, tutto il maestoso corso del Cassaro fino al termine di Porta Nuova. In alto trionfante adoravasi la Gran Vergine Rosalia sopra un carro tutto in oro, tirato da un’Aquila con un ramo di ulivo in bocca […] Stava la Santa quanto maestosamente modesta, altrettanto modestamente giuliva, vibrando dal gratioso volto, in mezzo un gruppo di gloria, luminosissimi raggi, e dimostrava invitar con le mani quegli Angiolini, che le facevan corteggio, a spargere rose sopra la Metropoli di Sicilia tutta in gioie”[24].

Ed ecco arrivati ai Quattro Canti a proposito dei quali lo scrittore gesuita osservava: “Parea che non fosse mestieri di mendicare abbigliamenti di gale alle quattro facciate dell’Ottangolo Teatro […] tanto sono elleno da se stesse belle, e ricche di nobilissimi fregi d’architettura […] Con tutto cio si vestirono di maestosi drappi, e vi si eressero quattro nobili Altari”[25].

Sulla destra si ammirava l’altare eretto dai Padri Teatini “tutto vestito d’oro, e d’argento” con al centro “S. Rosalia in un carro con un stendardo alle mani ove era scritto: Obediente Deo, parole prese dal decimo di Giosuè. E si pretese alludere, che si come Giosuè fermò il Sole a beneficio del popolo; così S. Rosalia a pro di Palermo raffermò la Terra scossa dal Terremoto […] Vi si scorgea inoltre Cristo sdegnato, che comandava all’Arcangiolo S. Michele la rovina della città, ma placato già Cristo N.S. alle preghiere della Santa, e l’Angiolo in atto di riporre nel fodero la spada, non seguì la Dio mercè, e di S. Rosalia danno veruno”[26].

Segue l’Altare dei PP. Crociferi “non meno ricco, che maestoso, né poteva non esser tale, essendo parto della munificenza dell’Eccellentissima Signora Duchessa d’Uzeda Vicereina in questo Regno, Principessa del tutto dedicata alla pietà, ma più precisamente alla divotione verso la Gloriosissima Vergine Santa Rosalia”[27].

Juan Francisco Pacheco Téllez Girón (1649-1718), viceré di Sicilia, e la moglie Isabella Maria Gómez de Sandoval, figlia del duca di Osuna e di donna Felice Gómez de Sandoval, duchessa di Uzeda, titolo che alla sua morte passerà al Pacheco,[28] erano molto devoti alla Santa palermitana. Tra le opere donate al santuario di Monte Pellegrino si inserisce un reliquiario d’argento, che doveva contenere la reliquia di santa Rosalia, ideato dall’architetto Giacomo Amato, disegnato da Antonio Grano, commissionato inizialmente a Vincenzo Cipulla, forse da identificare con il manufatto ancora custodito, eseguito da un altro abile argentiere dalla sigla A.M., insieme a “candelabra vasaque argenteis ramis florulenta” ricordati da una lapide del 1701[29].

Nel 1693 la viceregina per la realizzazione del ricco apparato del 1693 si rivolgeva all’architetto “che è religioso dell’istessa Religione”, certamente Giacomo Amato, cui si era rivolta insieme al consorte, oltre che per il reliquiario citato, anche per le numerose opere di argenteria ideate da Giacomo Amato e disegnate dal Grano di cui si conservano i bozzetti presso la Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis di Palermo, alcuni dei quali ideati dallo stesso viceré[30]. L’architetto palermitano forniva al nobile anche vari disegni per apparati effimeri eseguiti in occasione delle numerose ricorrenze religiose, come il Corpus Domini, ma tra questi non si rintraccia il riferimento a quello ricordato[31].

L’architetto palermitano “dal suo nome, e dall’arma di Sua Eccellenza l’idea del tutto allusiva alla Sicurezza di Palermo sotto gli auspicij di si Gran Santa; figurossi l’altare in un Castello fortificato da Tre Torri, stemma gentilitio dell’Eccellenza Sua, e perché il nome d’Isabella in anagramma purissimo suona L’Alba Sei; su le cime di dette Torri slargossi a raggi d’argento, ed Angioli che spargevan rose, una gloria, in cui quasi aurora sorgente era portata al cielo la Santa Verginella […] Sorgeva tutta la macchina in figura triangolare ottusa; alta da terra palmi 80 e larga palmi 46 e l’altura d’essa era in forma similmente triangolare, esposta percio a tre vedute; da qualsisia lato venissero i riguardanti godevasi: e quando i raggi del Sole specchiavansi in tanto argento, e tant’oro, di cui la macchina era ripiena, non potevasi in essa se non interpolatamente fissar lo sguardo. Sostentava la mole un largo pavimento con sua scalinata alzata da terra palmi 8 tutto adornato con tapeti Arabeschi, e ricco di torce, ed Angeloni, che le sosteneano. Posava fu la scalinata un tripartito bancone […] d’ordine composto, con pilastrini, e quadroni, esponeva a gli occhi de’ passaggi eri un vago intreccio di festoni d’argento e fogliami d’oro, e Teste coronate d’Eroi, ma quel di mezzo coperto d’un paliotto fregiato a riccame, e d’oro. Stabilivansi sopra i due banconi di lato due piedistalli d’argento in altezza di palmi 16 che sostenevano due figure alte palmi 10 rappresentanti l’una la Santa Chiesa, che porgendo un diploma d’Indulgenze consolava l’afflitta Sicilia […] L’altra la Giustitia Divina, che col capo coronato di raggi, sopra li quali eravi una Colomba; calcava co’ piedi un fascio di fulmini […] Vedansi in ambedue piedistalli due imprese una esponente un Sole a mezzo cielo […] L’altra, entro, un Cielo che saetta, una mano che lo diverte”[32]. Si ergeva “nel mezzo la più alta delle tre torri […] distinta in due ordini, il primo de i quali figurato in otto facciate parte circolari, parte semplici, parte convesse; fu situato sopra una superbissima scalinata coperta di drappi d’oro, ornata da busti, vasi con fiori, e candelieri tutti d’argento”[33].

Nel mezzo del secondo ordine della piramide si ergeva “uno scudo, che circondato di palme, e sostenuto da due puttini, esponeva dipinto un Mongibello, che con la bocca, ed altri delineamenti appropriati alla figura del medesimo Etna; esprimeva un orribil Dragone reso però sprezzabile dal motto: Ad illudendum ei, parole prese da David, all’ora che descrivendo il Mare sotto l’allegoria d’un Dragone, facea applauso alla divina Provvidenza: Draco iste, quem formasti al illudendum ei […] Terminava il tutto una gloria, in cui vedeasi la Santa a Cielo aperto tutta cinta d’intorno di vaghe nubi d’argento, e raggi d’oro, puttini scherzanti, Cherubini alati, e spiriti genuflessi, a cui sovrastando altri due alati Angeloni; con trombe alla bocca, e palme alle mani, sostenevano un grande cartoccio col già di sopra significato motto: Iam ascendit Aurora. Il tutto però insieme spiccava sul fondo d’un superbissimo apparato di velluto cremisi strettamente trinato a galloni d’argento”[34].

Ancora altro magnifico altare era quello dei PP. dell’Oratorio di S. Filippo Neri all’Olivella tutto adorno “di pretiosi velluti cremesini, che formavano un’ombrella […] in seno a cui s’alzava un Altare piramidale, ornato di spessi fiori, ed aurei candelieri, che tutto facea piedestallo, o soglio, dove eravi assisa S. Rosalia d’argento di simil statura, in militare arnese, quasi in atto di custodire la diletta Sua patria. D’ambedue i lati della base della macchina ergevansi e andavansi a congiungere in cima alla maestosa piramide due cartocci d’argento […] ombreggiati a colore di lapislazzulo con arabeschi artificiosamente intrigati. Giravai intorno alla base stessa […] una ben soda, e ben lavorata sponda, o parapetto, riccamente indorato, e architettato a foggia di balcone, con sporgervi i suoi semicircoli, e sopra alternando in giro, intrecci di fiori, e doppieri”[35].

In uno dei quattro “Cantoni” del Cassaro era collocato anche l’Altare dei RR. PP. del Terz’Ordine di S. Francesco, sotto il titolo di S. Maria della Misericordia, caratterizzato da una “macchina” con al centro “l’Eterno Padre comandante a sei Angioli con varij strumenti di gastigi nelle mani, che percotessero la Sicilia, a questi si aggiungeva il Settimo Angiolo, con una corona di rose nella sinistra, e colla destra additava agli Angioli percussori, che non castigassero quei, che avessero il segno, col motto in cima della macchina Ne occidatis. Nella parte sinistra di questa macchina vi era S. Rosalia inghirlandata di rose, che intercedea per la liberazione della Sua patria, o sotto in lontananza vi era il Genio delle Città destrutte dal Terremoto, ed a prima vista Palermo mesto, e tremante con sua ghirlanda di rose in capo, in atto supplichevole alla sua Santa compatriota Rosalia per la liberazione”[36].

Nel piano della Loggia “scorgeasi, per oggetto della meraviglia una macchina, quanto alta, altrettanto bella. Ell’era tutta lavorata di galloni d’argento sovra campo cremesino, e ben costrutta a simmetria d’altare. La prospettiva della sopra cennata macchina ammiravasi fondamentata, e composta d’ordine Corintio, tutta profilata a galloni d’argento in campo di velluto cremesino. La reggevan saldissimi piedestalli; sovra de quali scorgeasi con gratia di disegno la sua Cimasa, e Base, e seguivane con garbo bellissimo tutto il rimanente dell’ordine Corintio cioè colonnata co’ suoi terzi scannellati, capitelli, architrave, fregio, e cornice. Ad ornamento del sudetto ordine spiccavano sopra per finitura due frontespitij tagliati a modello d’incartocciata simmetria, e sovra essi innalza vasi il secondo ordine, ch’era d’Architettura composta […] in mezzo a due frontespitij eravi situato un cartellone, ricco di grotteschi, che con vivezza di capriccio lo sostentavano due Angioli, e sovra di essi scorge ansi le sacrosante braccia, Stemma pietosissimo della Serafica Religione, ove con bellissimo brio venivano coronate da una Corona di superbo lavoro. Nei lati usciva un cartoccio, e sovra di esso vagheggia vasi la statua d’una Virtù; che servivano di ornamento ad una porta, la quale veniva formata di galloni d’argento in campo di cremesino velluto. Arricchivano la porta i suoi orecchioni, e finitura di cornice, e sovra di più vagheggiavasi un finestrone con sue gelosie lavorate di galloni in campo di velluto cremesino. In cima di essa ammira vasi una ombrella in sembianza di Corona Imperiale tutta formata di lama d’oro a specchio, con galloni d’argento, e guarnitione intagliata, che vaghissima la rendevano fino all’ultimo segno. In mezzo della porta descritta di sopra, inalzavasi l’Altare, con l’inventione allusiva alle rovine de’ Tremuoti. Le costate dell’Altare erano fregiate a cartoline verdi d’oro, con suo riccamo, e galloni d’argento. L’inventione di dentro era questa: Vedevasi sovra un trono di nuvole, schierate d’Angioli, e Cherubini Dio Padre in sembianze di Nume delle vendette, mentre nella destra impugnava un fascio di fulmini, intento a castiga la Sicilia. Intorno ad esso un’aria colorita di orrori, e di caligini, e sotto eravi situata la Città di Palermo, ove per ogn’angolo di essa, eravi collocata alla destra l’Immacolata Eroina del Paradiso Maria, come principale protettrice della Città di Palermo, che con una mano impediva l’Ira d’Iddio sdegnato, e con l’altra sostenea la sudetta Città vacillante. Alla sinistra scorgeasi la Protettrice, e concittadina Rosalia, che con caldissime preci impediva lo sdegno, e con l’altra mano reggeva l’altr’angolo della Città. Per l’altra parte degli scalini della gloria, con che formavasi lo sfondato; divisa vasi il Patriarca S. Francesco, e S. Antonio da Padova, atteggiati nell’istesso modo, li quali come Protettori di questa Città, prostrati imploravano aiuto a pro di essa contro a sinistri accidenti. L’altare, che di sotto l’Inventione ammira vasi, era tutto arricchito d’argenteria, con fiorami di penne, garofali, e tulipani di seta, e frutti di cera; l’ornavano ancora quaranta candelieri, ed altrettanti vasi d’argento, e paliotto, come anco statue d’argento, e copiosità di lumi, che con bellissimo riflesso, partorivano mille Orienti in faccia alla notte. Il pavimento lo componeva un vagho tappeto arabesco alla babilonese di capriccioso lavoro, con sei candieleroni grandi d’argento, collocati a veduta di scena, che con sei torcioni davano lume, e compimento al tutto”[37].

Come già accennato, aumentavano la ricchezza di tali nobili apparati anche gli addobbi e le “inventioni delle banche”, delle “officine” e dei privati cittadini.

Nel Cassaro l’aromatario Vincenzo Bonanno “manifestò gli ossequii dovuti alla Rosa Celeste” addobbando magnificamente la “sua Spetieria vicinissima al Duomo”[38]. Ricordiamo tra l’altro “la ricca selva di cento cinquanta vasi d’argento con fiori di smalti e gioie” posti “su la pancata ricoperta di Persiani Tapeti”[39]. “Innaffiavano quel felice suolo piu fonti, che tra pregiate conche arrestavano per meraviglia il corpo alle sue acque d’argento. Si adoravano in sì ricca foresta le gloriose reliquie delle SS. Vergini Agata, Cristina, e Rosalia […] A vagheggiar l’amenità di sì bel giardino concorsero Genietti di cera forniti di gemme e oro”[40].

Un altro aromatario del Cassaro, Vincenzo Scalia, esponeva con simile pompa, “una statua posta in oro di S. Rosalia corteggiata da molte altre statuette di cera”[41].

E ancora un collega dello Scalia, l’aromatario Francesco Ferrara, “trasportò nella sua Spetieria una primavera di fiori d’argento, ed altre confacevoli gale, in mezzo a cui la bella Flora Palermitana Santa Rosalia, vestita di gioie, che riverberavano al riflesso di moltiplicati lumi, in sembiante di gradire l’ossequio del suo divoto concittadino”[42].

Mentre il notaio Pietro Privitera “animò nella sua banca un ampio, e ben inteso giardino carico di frondi d’argento, frutta di cera e scherzi d’acqua giocoliera, che sgorgava da scalinate, e pispini artificiosamente disposti, il che facea nuova comparsa ne’ specchi di rincontro. Era levata in alto la gloriosa Amazzone Santa Rosalia, collocata dentro un nicchio, in atto di spargere piogge di rose”[43].

Sempre nel Cassaro, Carlo di Gregorio “tirò gran popolo alla sua bottega di merci, e biancheria con l’Ambra, di cui fabricò una Nave ben fornita, in tutte le sue parti, ancor d’ambra, e coralli, su d’un mare d’argento, dentro a cui vi posava, come celeste Argonauta, la Vergine Rosalia: era l’apparato tutto di pennacchi, tributando così e l’Aria, e il Mare alla Trionfatrice degli Elementi”[44].

“Vito e Bartolomeo Passiggi mercanti nel Cassaro furono de’ più singolari nella maestà degli addobbi. Compariva la loro bottega tapezzata tutta a broccati sopraricchi d’oro, guerniti con merletti fiamminghi di gran capriccio. Alzavasi con maestà in centro all’apparato un ricco piedestallo d’argento cartocciato tutto a fogliami a color di smeraldo, e arabescato d’intrecciature d’argento, sovra cui, a guisa d’augusto trono, corteggiata di glorie luminose ergevasi la bella statua della Nostra Santa Rosalia. Qui le innocenti lagrime, con le quali la Santa Romita ingemmò la ruvidezza dell’abito, sembravano cambiate in fulgori di gioie, delle quali era fornita a dovitia. Faceano inoltre serenissima ombrella alla maestà della statua due cortine di tela d’oro cadenti da’ lati d’una corona Imperiale con rilievi di gemme: sosteneano sei Amorini i pensili precipitij delle cortine ingioiellate […] Tutto il vano della bottega era ripieno di tante stelle, quante eran le ninfe d’argento”[45].

Agli apparati del Cassaro si aggiungevano quelli delle strade della Loggia. Qui “Stefano Tonticello sopra una riccha scalinata fornita di gran copia d’argento, e lumi, espose una cassetta di argento colle reliquie di Santa Rosalia sotto una vaga ghirlanda di fiori”[46]. E ancora Giuseppe Ragusa con pompa di drappi d’oro, e di seta, argento, e lumi rizzò una statua d’argento della Santa”[47].

“Gio. Battista Figa nella sua bottega, che corrispondeva con due porte, in due strade diverse; messe fuori pregiatissimi drappi d’oro abbellitti, e guerniti di sfuggiate gale. Fornì tutto il bancone d’una galleria d’argento, e altri arredi da rapire la curiosità de’ spettatori. Dava a vedere da una strada sopra d’un monte in oro S. Rosalia, e dall’altra sopra una scalinata ricca di lumi, e sotto una pomposa ghirlanda le Reliquie della Santa”[48].

Grande inventiva e pregio artistico mostravano gli allestimenti proposti nella Strade degli orefici e gioiellieri che vedeva protagonisti i più importanti maestri del periodo. I fratelli Francesco e Antonino Bracco[49], figli di Giuseppe, il primo dei quali ricordato per aver valutato gli argenti e le gioie della ricordata Felice Ventimiglia, in occasione del matrimonio con il principe di Palestrina[50], “rappresentarono sedente in un trono augusto di gloria l’Eterno Padre con in mano un fascio di fulmini, assistito da un Angiolo con un brando impugnato, e la Divina Giustizia con uno scudo nella destra. Sul pavimento vedean li cataste di rovinati edificij, e città desolate dal Terremoto. Dall’altra parte il Re N.S. supplichevole alla Santa. Indi Palermo accompagnato dalla Penitenza, e S. Rosalia corteggiata dalla Misericordia. In aria la sfera del Sole, in mezzo a cui l’imagine del divin Sagramento, a cui fisava gli occhi un’Aquila con ale spiegate[51].

Vincenzo Anfuso, orafo attivo a Palermo tra il 1663 e il 1718[52], “con emulazione d’ossequio verso la Santa rabbellì tutto il di fuori della bottega di fini drappi d’oro, e argento: dentro eresse un Monte di sodo argento, su di cui sul dorso dell’aquila palermitana l’invitta Amazzone Rosalia, ambedue tempestate di gemme. Usciva dalle radici del monte un fiero sembiante, che vomitava fumo, e zolfo, figura del terremoto”[53].

Francesco Gargano, orafo attivo a Palermo dal 1671[54] e console della maestranza nel 1683[55], “entro più arcate di ben disposti argenti formò la veduta del Monte Etna gravido di fuoco, e scoppiato in una larga apertura, in cui scorgeasi il favoloso Tiseo, che a gran forza scuotea col monte la Trinacria tutta. A reprimere l’orgoglio di quel Gigante era portata sopra un gruppo d’argenteria, che formava nuvole, la nostra Santa Eroina, che con un fulmine in mano rincalciava il gigante: col motto tolto da Virgilio: Praesentia urget[56].

Francesco Antonio Arena[57] e Francesco Visconti, quest’ultimo maestro degli orafi e argentieri attivo dal 1680 al 1713[58], “rappresentarono S. Rosalia in figura di quella donna detta Rahab, che accolse le spie di Giosuè, e pregò loro salvazione dè suoi”[59].

Marco Petrulla, da identificare con il documentato Marco Priulla, orafo attivo tra il 1678 e il 1710[60], “in una vaga prospettiva pose in veduta all’occhio curioso de riguardanti in lontananza un mare: indi il Mongibello, che mandava fiamme alle stelle. A vista del monte caggione delle sue sventure spargea piogge di lagrime la dolente: e Sicilia. Non lungi da sì mesta figura il Genio di Palermo si mostrava non men sbigottito per l’altrui rovine, che delle proprie timoroso. A fronte di Palermo eran disposte quattro Virtù la penitenza, la castità. La carità, e la fede, per accennare, che accompagnatasi con quelle la Città placò lo sdegno del Cielo. In aria volava l’immagine della morte con l’arco teso alle mani per ferire Palermo, ma vano le riusciva il disegno mercé al forte colpo dell’asta, con cui l’Amazone Rosalia arriva sopra un carro di nuvole, facea cader di mano le saette alla morte”[61].

Il non ancora documentato orafo Benedetto Guarneri “rappresentò il Monte Pellegrino, la Città di Palermo scossa da venti, e S. Rosalia con una ghirlanda di preziosi diamanti in atto di protegger la sua Patria”[62].

L’importante orafo Vincenzo Florio (De Florio), attivo tra il 1660 e il settembre 1697[63], autore del Reliquiario della Santa Croce e della Sacra Spina e di una croce d’argento eseguiti tra il 1682 e il 1686 per l’arcivescovo Roano[64], cui l’Accascina riferisce il marchio VDF del calice della Chiesa Madre di Caccamo[65], “lavorò nella sua bottega un giardino fornito di fiori, e frutti, e pampinose viti, con una fonte d’acqua, che formando un padiglione ben largo, andava a cadere in una ben ampia scalinata, dove scorrea ad animare altri sei scherzi d’acqua giocoliera, e raggirava una ruota d’argento. Figurò in oltre il Genio di Palermo addormentato in quel giardino, e un Drago in atto di tendergli insidie, e S. Rosalia vestita di gemme, e situata in una grotta d’argento con una spada alle mani alla difesa di Palermo”[66].

Francesco Ruvolo, probabilmente un altro artista omonimo dei due orafi rispettivamente documentati dal 1615 al 1647[67] e dal  1729 al luglio 1758[68], il primo dei quali autore, insieme a Giuseppe De Oliveri, Giancola Viviano e Matteo Lo Castro della cassa reliquiaria di Santa Rosalia del Duomo palermitano disegnata da Mariano Smiriglio[69], “fabricò una montagna abbellita di fiori, e frutta di cera, e nella montagna una grotta, in cui si vedea in uno specchio la Santa Romita, che tra le gemme, delle quali era adorna, mantenea il portamento di penitenza”[70].

Giovanni Ciambra, attivo dal 1655 e il 1699, più volte console di Palermo[71], “espose il Genio di Palermo quasi cascante, e atterrito al rimirare Catania desolata, e distrutta dal terremoto, e S. Rosalia accompagnata da S. Agata, e l’altre Vergini Palermitane in atto di pregare Dio N.S. e la sua Santissima Madre a custodire la Patria commune”[72].

Sebastiano Tosto, documentato dal 1729[73], ma la cui attività, tranne che non si tratti di un omonimo, potrebbe essere anticipata di oltre un ventennio, “figurò il Monte Etna col Terremoto in sembiante d’huomo, e con le mani scagliava pietre. Dall’altra parte Palermo vestirà di corazza con forte scudo in mano per opporsi al Tramonto, e in atto di supplichevole a Santa Rosalia leggiadramente vestita, e situata sopra una nuvola, quale ancora pregava la gran Madre di Dio Maria con Gesù in braccio a ben della sua Patria”[74].

Placido Caruso, orafo attivo a Palermo tra il 1679 e il 1725[75], “entro una scena tutta d’argento. E rose con un sfondato di lumi dava a godere un Paradiso, ed ivi tra schiere d’Angioli, affissa in un maestoso, trono Maria Vergine col bambino in braccio, e S. Rosalia genuflessa vestita di pretiosi diamanti. Dall’altra parte il Mongibello col Tremuoto figurato come sopra, ed il Genio di Palermo supplichevole alla Santa”[76].

Giuseppe Mancuso, artista finora non documentato, antenato dell’omonimo argentiere attivo a Palermo dal 1846[77], “in una scena d’argento espose Dio Signor Nostro con fulmini in mano: Eravi sotto la SS. Vergine, e S. Rosalia intente a placare lo sdegno divino. In un campo fiorito il Genio di Palermo supplichevole alla Santa”[78].

Domenico Fulco, altro argentiere non ancora documentato, “in un giardino di rose situò un Angiolo, che sostenea una reliquia della Santa entro un Reliquiario d’argento”[79].

Melchiore Menardi “entro una galleria di drappi d’oro trinati eresse una Piramide tutta d’argento su la cui cima la Santa Romita vestita tutta di gemme, perle e rubini: la Piramide divisa in tre angoli era figura della Sicilia ripartita in tre valli e le perle simbolo del candor della vita della Santa”[80].

Virgilio Cappello, argentiere e orafo attivo 1677 e il 1713[81], “in un giardino ricco d’argento, fiori e frutti di cera animò con scherzi d’acqua una fontana innanzi a cui entro una grotta rappresentò la felice morte di Santa Rosalia assistita da schiere angeliche. Abbellivano la bottega ninfe di filograno d’argento, apparati d’oro e quantità di lumi”[82]. L’accostamento del Genio di Palermo con la Vergine Romita sembra ispirato “al fine comune di tutelare la città, l’uno in chiave ermetica e ancestrale, l’altra alla luce di rogati interventi miracolistici”[83]. La figura della santa palermitana accompagnata ora dal Genio pagano della città ora dall’aquila ora dal fiume Oreto è inserita spesso in opere d’arte decorativa. Si ricordi tra tutte l’acquasantiera con Santa Rosalia e il Genio del Fiume Oreto di collezione privata palermitana (fig. 4)[84], ove il Genio del Fiume Oreto, rappresentato come un vecchio canuto e barbuto, accompagnato da un vaso da cui sgorga l’acqua, si distingue pertanto dal Genio di Palermo, effigiato con la corona e il serpente, come nella mazza d’argento del santuario di Santa Rosalia di Monte Pellegrino (fig. 5), ascritta ad argentieri palermitani della fine del XVII – inizi del XVIII secolo[85].

Baldassare Lione (Di Leone), orafo attivo a Palermo tra il 1697 e il 1729[86], ma la cui attività potrebbe essere anticipata di qualche anno, “in una scena d’argento eresse una piramide pure d’argento con S. Rosalia di sopra riccamente vestita e coronata da schiere d’Angioli d’una corona di luminosi diamanti”[87].

Giuliano Strina, argentiere attivo tra il 1666 e il 1706[88], due volte console della maestranza[89], attivo più volte per i Padri Crociferi[90], “levò in alto sopra un piedistallo d’argento la Reliquia della Santa vestita di gioie e situata sotto un ombrella vistosa con l’accompagnamento d’altri addobbi e gale d’intorno, e il vivo lume di torcie, e candele in gran numero”[91].

Gaetano D’Amico, orafo attivo dal 1673 e il 1701[92] “oltre al plausibil splendore di ben disposte gale, e moltitudine d’accesi lumi con cui mostrò singolare l’ossequio verso la Santa, e la propria magnificenza; espose in una volta tutta d’argento un cerchio di nuvole circondato d’alati spiriti, in mezzo a cui l’imagine del SS. Sagramento. Dall’altro lato un’aquila coll’ale spiegate con S. Rosalia genuflessa sugli omeri, in atto di pregare per Palermo situato di sotto. Indi la Sicilia cascante, e lacerata da un’Idra di sette capi, in cui pretese esprimere il Terremoto”[93].

E infine Michele Timpanaro, orafo documentato dal 1663 al 1694[94], che “in un giardino d’argento adorno di artificiali fiori, e frutta fabricò una grotta pure d’argento, a cui s’inviava la nostra Santa Romita assistita da due Angioli condottieri e l’una, e gli altri addobbati di ricche gioie”[95].

NOTE

[1] G. Gimma, Elogj  accademici della Società degli spensierati di Rossano, Napoli 1703, p. 39.

[2] Ibidem. Si veda anche R.F. Margiotta, Biografie degli arcivescovi delle diocesi di Palermo e Monreale (1670-1730), in Giacomo Amato. I disegni di Palazzo Abatellis. Architettura, arredi e decorazione nella Sicilia barocca, a cura di S. De Cavi, Roma 2017, p. 568.

[3]I. de Vio, Li giorni d’oro nella trionfale solennità di S. Rosalia Vergine Palermitana celebrata l’anno 1693 rinovandosi l’annuale memoria della sua Inventione, Palermo 1694. https://archive.org/details/bub_gb_wkZznB8a2bUC

[4] Si veda D. Malignaggi, L’illustrazione barocca, Invenzione e artificio, in Immagine e testo. Mostra storica dell’editoria siciliana dal Quattrocento agli inizi dell’Ottocento, a cura di D. Malignaggi, Palermo 1988, p. 179 e più recentemente C. Bajamonte, scheda 94, in Serpotta e il suo tempo, catalogo della mostra (Palermo, Oratorio dei Bianchi, 23 giugno – 1 ottobre 2017) a cura di V. Abbate, Cinisello Balsamo 2017, pp. 294-295.

[5] Per la famiglia Reggio si veda R.F. Margiotta, Dizionario per il collezionismo in Sicilia, in Artificia Siciliae. Arti decorative siciliane nel collezionismo europeo, a cura di M.C. Di Natale, Milano 2016,  p. 328.

[6] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 3.

[7] Sull’artista palermitano si veda tra l’altro M.C. Ruggieri Tricoli, Paolo Amato. La corona e il serpente, con un saggio introduttivo di M. Nicoletti, Palermo 1983 e più recentemente A. Anzelmo, Paolo Amato siciliano di Ciminna architetto del Senato di Palermo, con una nota introduttiva di M.C. Ruggieri Tricoli, Ciminna 2017, con prec. bibl.

[8] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 36-37.

[9] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694.

[10] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694.

[11] M.C. Di Natale, Tesoro di Sant’Anna nel Museo del Castello dei Ventimiglia a Castelbuono, in M.C. Di Natale – R. Vadalà, Il tesoro di Sant’Anna nel Museo del Castello dei Ventimiglia a Castelbuono, “Vigintimilia. Quaderni del Museo Civico di Castelbuono”, 1, Appendice documentaria di R.F. Margiotta, Palermo 2010, p.  24. Si veda anche M.C. Di Natale, Felice Ventimiglia Barberini dal principato di Castelbuono a Roma, in Gli Orsini e i Savelli nella storia dei Papi. Arte e mecenatismo di antichi casati dal feudo alle corti barocche europee, in corso di stampa.

[12] I. de Vio,  Li giorni d’oro…, 1694, pp. 52-53.

[13] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 53-54.

[14] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 56-57.

[15] C. Bajamonte, scheda 70, in Serpotta…, 2017, p. 284.

[16] Ibidem. Si veda anche I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 131-134.

[17] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 146-147.

[18] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 105-106.

[19] La raffigurazione è inserita nel volume di M.C. Ruggieri Tricoli, Paolo Amato…, 1983, p. 83. Sugli apparati festivi in onore di Santa Rosalia si veda anche La fiesta barroca. Los reinos de Nápoles y Sicilia (1535-1713), a cura di V. Mínguez Cornelles, P. González Tornel, J. Chiva Beltrán, I. Rodríguez Moya,  Castellón-Palermo 2014.

[20] I. de Vio,  Li giorni d’oro…, 1694, pp. 206-209.

[21] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 216.

[22] A. Tricoli, in Arti decorative in Sicilia. Dizionario biografico, a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2014, ad vocem Pizzillo Antonio. Si veda anche S. Piazza, I marmi mischi delle chiese di Palermo, introduz. di M. Giuffré, Palermo 1992, p. 125.

[23] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 217-218.

[24] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 219-220.

[25] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 221.

[26] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 222.

[27] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 223.

[28] Sulla figura del vicerè si veda R.F. Margiotta, Dizionario…, in Artificia Siciliae…, 2016.

[29] V. Abbate, Il tesoro perduto: una traccia per la committenza laica nel Seicento, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, cat. della mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 1989, p. 53. Si veda anche Idem, Da Uceda a Veraguas, tra Messina e Palermo: il contesto, le scelte collezionistiche, il mecenatismo artistico, in Giacomo Amato…, 2017, pp. 93-102, in part. p.100-101 .

[30] V. Abbate, Il tesoro perduto…, in Ori e argenti di Sicilia…, 1989, p. 53.

[31] Si veda il corpus completo dei disegni in Giacomo Amato…, 2017, pp. 165-463.

[32] I. de Vio,  Li giorni d’oro…, 1694, pp. 223-226.

[33]I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694,  p. 226.

[34] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 227-228.

[35]I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 228-229.

[36]I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 229-230.

[37] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 231-234.

[38]I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 236.

[39] Ibidem.

[40] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 236-237.

[41] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 238.

[42] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 239.

[43] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 239-240.

[44]  I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 242.

[45]I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694,  p. 247.

[46] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 253.

[47] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 255.

[48] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 259-260.

[49] Si veda S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad voces.

[50] M.C. Di Natale, Tesoro di Sant’Anna…, in M.C. Di Natale – R. Vadalà, Il tesoro di Sant’Anna…, 2010.

[51] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 264-265.

[52] S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem.

[53] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 265.

[54] S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem.

[55] S. Barraja, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo, saggio introduttivo di M.C. Di Natale, Milano 1996, II ed. 2010.

[56]I. de Vio,  Li giorni d’oro…, 1694, pp. 265-266.

[57] S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem.

[58] S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem. Si veda anche Idem, Gli orafi…, in Splendori…, 2001, p. 677

[59] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 266.

[60] A. Zalapì, in Arti decorative…, 2014, ad vocem.

[61] I. de Vio,  Li giorni d’oro…, 1694, p. 266.

[62] I. de Vio,  Li giorni d’oro…, 1694, p. 267.

[63] S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem.

[64] G. Mendola, Inediti d’arte nella diocesi di Monreale, in Gloria Patri. L’arte come Linguaggio del Sacro, cat. della mostra a cura di G. Mendola, Palermo 2001, pp. 11-28, in part. p. 18.

[65] M. Accascina, I marchi delle argenterie e oreficerie siciliane, Busto Arsizio 1976, p. 50.

[66] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 267-268.

[67] M. Vitella, in Arti decorative…, 2014, ad vocem.

[68] S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem.

[69] M.C. Di Natale, S. Rosaliae Patriae Servatrici, con contributi di M. Vitella, Palermo 1994.

[70] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 268.

[71] S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem.

[72] I. de Vio,  Li giorni d’oro…, 1694, p. 268.

[73] S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem.

[74]I. de Vio,  Li giorni d’oro…, 1694,  pp. 268-269.

[75] S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem.

[76] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 269.

[77] S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem.

[78] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 269.

[79] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 269.

[80] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 269-270.

[81] S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem.

[82] I. de Vio,  Li giorni d’oro…, 1694, p. 270.

[83] Di Natale M.C., La santa di corallo, argento ed altro, in “Nuove Effemeridi” rassegna trimestrale di cultura, a. XI, n. 42, 1998/II, pp. 34-41, in part. p. 35.

[84] M.C. Di Natale, Il corallo apotropaico e la Santa Patrona, in G. Lo Cicero, Corallo per Santa Rosalia tra Sicilia e Spagna, Digitalia Rara, n. 3, collana diretta da M.C. Di Natale, Palermo 2013, con prec. bibl.

[85] M.C. Di Natale, Santa Rosalia nelle arti decorative, Palermo 1991; Eadem, Il corallo…, in G. Lo Cicero, Corallo per Santa Rosalia…, 2013. Si veda anche R.F. Margiotta, scheda 59,  in Serpotta…, 2017, p. 279.

[86] S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem.

[87] I. de Vio,  Li giorni d’oro…, 1694, p. 270.

[88] S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem.

[89] Ibidem.

[90] M.C. Di Natale, I disegni di opere d’arte decorativa di Giacomo Amato per i monasteri di Palermo, in Giacomo Amato…, 2017, p. 45.

[91] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 270.

[92] S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem.

[93] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, pp. 270-271.

[94] S. Barraja, in Arti decorative…, 2014, ad vocem.

[95] I. de Vio, Li giorni d’oro…, 1694, p. 271.