OADI Lombardia

OADI Lombardia

A cura di Paola Venturelli

 

Notizie ‘tessili’,  Mantova, i Gonzaga e i Pico

 

Dal XV secolo la Lombardia vide crescere le sue ricchezze anche grazie alle attività legate alla produzione serica. Numerosi musei disseminati sul territorio attestano oggi la capillare diffusione di questo tipo di attività. Tra questi emerge per quantità e qualità dei materiali, per gestione e iniziative la Fondazione Antonio Ratti di Como con il Museo Studio del Tessuto (Villa Sucota, via Cernobbio 19, Como), nato nel 1998 per volontà di Antonio Ratti, aprendo al pubblico la collezione di  tessuti antichi da lui acquistati e conservati presso la sua azienda. Sin dagli anni Ottanta oggetto di campagne di studio, dal 1995 i tessuti sono stati inseriti nel catalogo informatizzato del museo. Accanto alla raccolta e alla conservazione dei tessili, la Fondazione Ratti è promotrice di numerose attività, da conferenze a mostre (sul sito http://www.fondazioneratti.org/page/20/exibitions si trovano in ordine cronologico tutte le esposizioni realizzate), a pubblicazioni. Nel sito del museo è possibile ‘sfogliare’ anche il recente volume riguardante l’ esposizione Ritratti di signore. Portraits of Ladies . Tessuto moda e pittura tra Otto e Novecento, a cura di M. Rosina, tenutasi nel 2011 (1 aprile- 24 giugno 2011), collegata alla grande esibizione dedicata al pittore Giovanni Boldini (Boldini e la Belle Époque), presentata a Como, Villa Olmo (www.grandimostrecomo.it/boldini-e-la-belle-époque). La pubblicazione, che presenta materiali tessili (stoffe, nastri, pizzi velette, passamanerie, abiti dei primi anni del Novecento sino alla fine della prima guerra mondiale) e dipinti ad essi correlati (eseguiti da Boldini, Sergent a Tissot, Wimmer Wisgrill, Italico Brass, Lino Selvatico e altri), è acquistabile sul sito http://it.blurb.com/bookstore/detail/2910493. Dal 1988 la Fondazione Antonio Ratti è anche impegnata nella ricerca dei linguaggi visivi contemporanei, con attività legate alla formazione, alla riflessione teorico- critica e alla creazione di network. Tra le iniziative il Corso Superiore di Arti Visive, diretto da Annie Ratti, nato nel 1995 dal precedente Corso Superiore del Disegno e il recente progetto “La Kunsthalle più bella  del mondo” (Advanced Course in Visual Arts Kunsthalle Project Seminars and Workshop), ciclo di conferenze  e di incontri iniziato nell’ottobre 2010 (http://www.fondazioneratti.org/page/23/arti-visive) .

 

Attesta e si propone di far conoscere il livello dei materiali tessili lombardi, il progetto La produzione Serica in Lombardia dal 15° al 20° secolo, ideato e diretto da Chiara Buss, attuato in collaborazione con un gruppo di istituzioni culturali. Il progetto prevede due momenti diversi e complementari: ricerca storico- scientifica e divulgazione dei risultati. Il fine è l’individuazione e l’analisi dei tessili prodotti in Lombardia dal XV ad oggi, fatti conoscere al pubblico attraverso il catalogo multimediale www.setainlombardia.org, un data base in progress corredato da immagini ad alta risoluzione, già consultabile. Al chiudersi della settennale ricerca saranno visionabili in rete circa 21000 tessuti, corredati da circa 80.000 immagini, con più di 10.000 dati storici- tecnici, ripartiti in 12 percorsi e decine di indici. Il lavoro viene presentato attraverso 5 volumi (costituenti la collana Seta in Lombardia. Sei secoli di produzione e Design), dedicati a momenti storici diversi: il ducato visconteo- sforzesco (1392-1535), il governatorato spagnolo (1535-1706), la Lombardia Austriaca (1706-1860), la Lombardia all’origine dell’industrializzazione italiana (1860-1939), il tessile comasco e lo stilismo milanese (1945-1990). Sono già stati pubblicati il primo volume (Seta , oro Cremisi. Segreti e tecnologia alla corte dei Visconti e degli Sforza, Silvana editoriale, Cinisello Balsamo 2009, a cura di C. Buss), che costituisce il catalogo della mostra tenutasi al Museo Poldi Pezzoli di  Milano (dal 29 ottobre 2009 al 21 febbraio 2010) e il secondo volume (Seta oro Incarnadino. Lusso e devozione  nella Lombardia spagnola, a cura di C. Buss,  ISAL Editore 2011). Tra il maggio 2011 e l’ottobre 2012 si completerà la terza fase del progetto, quella riguardante la seta in Lombardia tra il 1706 e il 1859; l’ultima fase si chiuderà con la primavera del 2015. La divulgazione si articola anche attraverso la didattica, dalla scuola media secondaria alla scuola di specializzazione universitaria.

 

Si è aperta a Mirandola, nel castello dei Pico, la mostra Cronaca della nobilissima famiglia Pico. Quattrocento anni di signoria e di storia a Mirandola (16 dicembre 2011- 15 aprile 2012; a cura di R. Bertoli e altri), dinastia  alla quale appartenne il celebre Giovanni Pico e che governò la città di Mirandola per quattrocento anni a partire dal 1311. Centro di un piccolo stato padano in relazioni di equilibrio con le vicine signorie dei Visconti- Sforza, Este e Gonzaga, Mirandola vide la presenza di questa famiglia sino agli inizi del Settecento con Francesco Maria Pico, ultimo duca di Mirandola. L’esposizione si snoda negli ambienti del castello, articolandosi in sette sezioni, presentando dipinti, armi, documenti, libri e mappe.

 

Il 19 gennaio è mancato il Clifford M. Brown, noto studioso canadese e cittadino onorario di Mantova, che per quarant’anni ha indirizzato i suoi studi prevalentemente sui Gonzaga. Ultima sua fatica è stata il volume I Gonzaga di Bozzolo (a cura di C. M. Brown e P. Tosetti Brandi; numero speciale di “Postumia”, 22/2, 2011, www.postumia-mam.it), riguardante Gianfrancesco Gonzaga (1446-1496). Terzo figlio del marchese di Mantova Ludovico II e di Barbara di Brandeburgo, nonché marito di Antonia del Balzo (a sua volta figlia del duca di Andria e di Venosa, Pirro del Balzo, già conestabile del regno di Napoli), venne ritratto con alcuni dei suoi famigliari e vari personaggi della corte, nel celebre affresco di Andrea Mantegna sulla parete settentrionale della Camera picta (1465-1474), nel castello di san Giorgio a Mantova. Raffinato collezionista, che fece della residenza di Bozzolo prima e poi di quella a Gazzuolo il centro di una corte aggiornata, fu tra l’altro mecenate di Pier Jacopo Alari Bonacolsi detto l’Antico. Partendo dalla pubblicazione dell’importante e poderoso inventario del 1496 dei beni della rocca di Bozzolo, redatto alla morte di Gianfrancesco, i diversi contributi del volume ricostruiscono virtualmente le sue raccolte (formata da gioielli, arredi, tessili, oggetti preziosi e d’uso quotidiano) e la sua biblioteca.

 

Altra fatica cui Clifford M. Brown ha partecipato con uno studio (The Guastalla and Sabbioneta Libraires in 1590) è il volume Mantova e il Rinascimento. Studi in onore di David S. Chambers (a cura di P. Jackson, G. Rebecchini, Sometti, Mantova 2011), offerto a questo studioso inglese, a lungo docente al Warburg Institute di Londra, che nella sua lunga carriera ha ripetutamente affrontato temi mantovani. I numerosi saggi sono presentati in quattro sezioni: “Libri e cultura a Mantova”; “Artisti, mecenati e collezionisti”; “Humanistica, astrologia e medicina”; “Giustizia, finanza e diplomazia”; troviamo tra gli altri contributi quelli di Molly Bourne, The Turban’d Turk in Renaissance Mantua: Francesco II Gonzaga’s interest in Ottoman Fashion, e di Guido Rebecchini, Portraits by objects. Three ‘studioli’ in sixteenth- Century Mantua.

 

Nel dicembre 2011 è uscito il volume Scritti per Chiara Tellini Perina (a cura di Daniela Ferrari, Sergio Martinelli, Gianluigi Arcari Editore, Mantova 2011), storica dell’arte mantovana, mancata il 19 gennaio 2010, autrice di importanti studi sulla pittura di Mantova e dintorni e, tra l’altro, curatrice dei volumi Mantova. Le arti, voll. I, II, III (Mantova 1961-65), dove molto spazio era stato dato anche alle “arti minori”. Nella pubblicazione a lei dedicata le  arti decorative sono presenti attraverso i saggi di Maria Rosa Palvarini Gobio Casali (riguardante la ceramica mantovana) e di Daniela Ferrari (sugli arredi tessili e l’abbigliamento della corte Gonzaga nella prima metà del Cinquecento).

 

La pubblicazione concernente Gianfrancesco Gonzaga si intreccia e si completa attraverso quella relativa al fratello, il vescovo eletto Ludovico Gonzaga (1460-1511), quinto e ultimo figlio del marchese Ludovico e di Barbara di Brandeburgo, tutore dei nipoti alla morte di Gianfrancesco e dal 1501 quasi stabilmente residente a Gazzuolo. Intitolata Un collezionista Mantovano del Rinascimento. Il vescovo Ludovico Gonzaga nel V centenaio della morte (edita nel settembre 2011, PubliPalolini, Mantova, www.museodiocesanomantova.it), raduna gli interventi presentati al convegno di studi tenutosi a Mantova il 29 gennaio 2011. Anch’egli proprietario di oggetti preziosi, bronzetti, monete, medaglie e libri, il vescovo eletto Ludovico Gonzaga oltre a essere mecenate dell’Antico e dell’orafo – incisore Gianmarco Cavalli, collezionò dipinti del Mantegna e di Giovanni Battista Cavalletto; tra le opere che gli appartennero rimangono gli importanti busti eseguiti dall’Antico (autore recentemente riconsiderato dalla critica), ora al Museo Diocesano Francesco Gonzaga di Mantova.

 

Presso questo stesso museo si è aperta il 18 febbraio 2012 la mostra Vincenzo I Gonzaga 1562-1612 Il fasto del potere, curata da chi scrive, aperta sino al 10 giugno 2012 (catalogo PubliPaoloini, Mantova, comprabile in rete, www.museodiocesanomantova.it), la prima esposizione dedicata a questo straordinario protagonista della dinastia Gonzaga. Possessore a sua volta di una raccolta strepitosa di oggetti d’arte (anche in pietre dure), guardata con ammirazione dai principi del tempo, incluso l’imperatore Rodolfo II, seppe portare alla ribalta internazionale la piccola, ma aggiornata corte gonzaghesca (presenta l’esposizione e le attività collaterali il sito: www.vincenzogonzaga.it). In mostra figurano pregiati manufatti d’oreficeria (tra i quali un raro medaglione in smalto del 1562), oggetti in cristallo di rocca ed ebano laccato (come la poderosa urna acquistata da Vincenzo I nel 1601 a Venezia), in oro massiccio (il Reliquiario del Preziosissimo Sangue, che in occasione dell’esposizione viene presentato con i due medaglioni d’oro contenenti le particelle del Sangue di Cristo), dipinti (per lo più inediti), documenti (incluso una lettera della celeberrima ricamatrice Caterina Cantona), libri e altri manufatti d’arte decorativa.

 

 

 

11 ottobre 2011

 

Milano – Monza: due mostre, un convegno, un museo e un restauro

  

Medaglione raffigurante episodi della Passione di Cristo, Madrid, Istituto de Valencia de Don Juan, ultimo quarto del XV secoloIl 29 settembre, presso il Museo Diocesano di Milano, si è inaugurata la mostra Ori dai Visconti agli Sforza. Smalti e oreficeria nel Ducato di Milano (catalogo Silvana editoriale), che si chiuderà il 29  gennaio 2012. Un tema mai trattato in ambito espositivo, sviluppato attraverso 57 opere provenienti da diversi musei, sia stranieri (Washington, Madrid, Essen, Parigi, Nizza) che italiani, alcune mai esposte in precedenza. Collocati nelle belle vetrine della parte ipogea del Museo, sfilano sotto ai nostri occhi oggetti legati al culto, medaglioni devozionali, ancorette, paci, cinture, fermagli e libretti corredati da legature preziose che dialogano con altre forme d’arte, in modo particolare le miniature; anche alcuni nielli, altro prodotto di specifica produzione lombarda, trovano posto nel percorso espositivo, insieme ai Tarocchi della Pinacoteca di Brera, con foglia d’oro punzonata e ad alcune opere lignee, anch’esse  completate da un rivestimento aureo, ma non mancano vetri a oro graffiti, altra tecnica specificatamente padana. L’obiettivo è quello di mostrare quanto gli smalti (dalle ronde- cosse, al traslucido, a quelli a pittura, anche con la ripresa in oro dei dettagli della figurazione) siano il tratto più caratterizzante l’oreficeria locale tra la fine del Trecento e il chiudersi del secolo seguente, quando il ducato di Milano, uno dei più ricchi d’Europa, è sotto il dominio dei Visconti e quindi degli Sforza e le botteghe locali producono oggetti suntuari di eccezionale livello qualitativo. Tra le opere d’epoca viscontea, oltre ai quattro scudetti a traslucido di Bernabè Visconti (ca. 1323. 1385), spiccano il medaglione con la Trinità (National Gallery di Washington) e il fermaglio del tesoro della cattedrale di Essen, entrambi in smalto en ronde- cosse, ca. 1400, quest’ultimo con una dama che reca un copricapo piumato a balzo che si connette a quanto figura nel bel foglio miniato giunto dal Louvre, assegnato a Nichelino da Bezzo; notevole anche il cofanetto giunto dall’Opera di Santa Maria del Fiore di Firenze, con vivaci raffigurazioni zoomorfe e la Pace di Filippo Maria Visconti, duca dal 1412 al 1447, con dettagli in smalto filigranato. Al momento sforzesco appartengono invece, tra l’altro, la cintura nuziale proveniente dal Museo Civico d’Arte Antica di Torino, con il punzone dell’importante bottega dei Vimercati, il medaglione apribile dall’ Istituto de Valencia de Don Juan di Madrid, con episodi della Passione e un inserto in madreperla nonché l’ancoretta prestata dal Museo Correr di Venezia, che riprende la Vergine delle Rocce del Louvre di Leonardo da Vinci; presenta maestose e aggiornate sagome architettoniche invece il grande tabernacolo donato nel 1495 dal vescovo Carlo Palla vicino al duomo di Lodi, rivestito di smalti, che in parte riflettono la presenza di Leonardo da Vinci (a Milano dal 1482 ca.). L’altarolo- reliquiario del Museo Masséna di Nizza (la cui lastrina smaltea  con la Pietà si lega al lombardo Reliquiario della santa Croce custodito a San Mauro Castelverde, presentato nel 1974 da Maria Accascina nella sua Oreficeria in Sicilia dal XII al XX secolo), corredato da piccole lastrine eseguite nella tecnica dei vetri a oro dipinti, segna il momento finale della splendida stagione degli smalti sforzeschi.

Pace di Ariberto d’Intimiano (Tesoro del Duomo di Milano), secondo decennio del XI secolo ca. Dal 5 novembre all’11 dicembre, tra  Palazzo Reale, la chiesa di san Raffaele e la Galleria San Fedele, sarà invece possibile confrontare tra loro straordinari esemplari del passato e opere moderne nella mostra La bellezza nella Parola. Il nuovo Evangeliario Ambrosiano e capolavori antichi (catalogo Silvana editoriale), occasione per presentare il nuovo Evangeliario Ambrosiano (voluto dal Cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi), il volume usato nella solenne lettura delle celebrazioni liturgiche, illustrato da maestri d’arte contemporanea (Nicola de Maria, Mimmo Paladino, Mimmo Paladino, tavola per il Nuovo Evangeliario Ambrosiano, 2011 ca.Ettore Spalletti, Giovanni Chiaramonte, Nicola Samorì e Nicola Villa). Se presso la Galleria San fedele (aperta sino al 22 dicembre) e nella chiesa di San Raffaele saranno ospitate le opere moderne, i ‘capolavori antichi’ troveranno invece posto a Palazzo Reale. Qui potremo vedere la coperta dell’Evangeliario, d’oro, con smalti cloisonné, gemme e cammei, eseguita tra la fine del VI secolo e gli inizi del successivo (Museo e Tesoro del Duomo di Monza), donata dalla regina longobarda Teodolinda alla basilica da lei fatta costruire a Monza; accanto ci saranno tre manufatti, dovuti a laboratori lombardo- milanesi, caratterizzati anch’essi dalla presenza di smalti cloisonné su supporto aureo: la cosiddetta Pace di Chiavenna (chiesa di San Lorenzo), di non accertata cronologia, in origine valva di una copertura di Evangeliario, l’Evangeliario donato al Duomo di Milano dall’arcivescovo Ariberto d’Intimiano (1018-1045) e quello proveniente dalla Biblioteca Capitolare del Duomo di Vercelli che vi si lega strettamente. Verranno proposti anche una serie di evangeliari miniati con inchiostro, oro e porpora come il Codex Sarzanensis della Diocesi di Tortona, gli evangeliari di Busto e di Bobbio, con il codice  A 28, tutti conservati alla Biblioteca Ambrosiana e l’Evangeliario Casola della Biblioteca Capitolare di Milano. L’ Evangeliario appartenuto a papa Paolo VI, il medesimo che fu collocato sulla bara di Giovanni Paolo II nel giorno delle sue esequie, segnerà il passaggio alla legatura e alle 73 tavole del nuovo Evangeliario ambrosiano, visibili insieme per la prima e unica volta prima di essere rilegate nel volume che verrà poi dato al Duomo.

 

Ancora a Milano, tra  l’Università Cattolica del Sacro Cuore e  la Pinacoteca di Brera, il 19 ottobre si svolgerà la prima delle tre giornate (le altre due saranno a Bologna, il 20 e 21 ottobre) del convegno di studi Francesco Malaguzzi Valeri (1867-1928). Tra storiografia artistica, museo e tutela. Rivalutato di recente (dal 1995) grazie agli studi del professore Gianni Carlo Sciolla, dopo anni di ‘dimenticanza’ in buona parte dovuti ai pesanti giudizi espressi dal giovane Roberto Longhi in successivi interventi su L’Arte (1914, 1916, 197), riguardanti l’ancora oggi validissima opera del Malaguzzi Valeri, La corte di Ludovico il Moro (edita in quattro volumi tra il 1913 e il 1923), dedicata alla pittura, alla scultura, all’architettura e alle arti decorative sforzesche, Francesco Malaguzzi Valeri fu uno dei protagonisti  nell’ambito dello studio e della tutela del patrimonio artistico italiano, anche impegnato nel riallestimento di musei e gallerie. Infaticabile autore di studi , sostenuti da una salda base archivistico documentaria, volti a delineare una storia dell’arte come storia della cultura, perlustrò in modo originale ambiti diversi, dalle cosiddette ‘arti maggiori’ a quelle ‘minori (numismatica, intagli, miniatura, oreficeria, arti tessili, ecc.), concentrandosi sulla Lombardia e sull’Emilia Romagna, in parallelo allo svolgersi del suo iter esistenziale e della sua carriera, iniziata a Reggio Emilia (città dove nacque), proseguita dal 1899 presso l’Archivio di Stato di Milano e la Pinacoteca di Brera e quindi (1914) a Bologna come direttore della Regia Pinacoteca cittadina e Soprintendente alla Gallerie di Bologna e della Romagna.

 

L’Evangeliario di Teodolinda che figurerà a Milano dal 5 novembre, giunge come si diceva, dal Museo e Tesoro del Duomo di Monza. Il museo ospita opere di eccezionale livello, le cui vicende si intrecciano a quelle della basilica di san Giovanni Battista, lungo un arco di più di 1400 anni. La prima parte (“Filippo Serpero”) del Museo, inaugurata nel 1963, conserva manufatti donati agli inizi del VII secolo dai sovrani longobardi Agilulfo e Teodolinda, ai quali si deve la fondazione della chiesa  (595-600 ca.), con altri offerti dall’imperatore Berengario I  (inizi del X secolo): tra l’altro la Croce di Agilulfo, la celebre Chioccia con i sette pulcini, i due dittici eburnei detto uno “del poeta e della Musa”, l’altro, consolare, di “Davide e Gregorio”, il pettine e il flabello che si vogliono appartenuti alla stessa regina Teodolinda e il prezioso Reliquiario del dente di san Giovanni; ma vi troviamo anche alcuni tessuti paleocristiani e altomedievali e le cosiddette cinque Sporte degli Apostoli, eseguite con foglie di palma intrecciate. Dal novembre 2007 si è inaugurato invece dopo anni di lavori l’ampliamento del Museo (una superficie di 900 mq), gli spazi “Carlo Gaiani”, grazie all’encomiabile (e ormai raro) mecenatismo di una famiglia monzese che vi ha profuso cospicue risorse economiche. Qui si radunano in quattro sezioni opere giunte a far parte del patrimonio della basilica dalla sua riedificazione (nel 1300) fino ad oggi. Si passa dal grande calice detto di Gian Galeazzo Visconti (ca. 1400), ospitato nella sezione viscontea (1277-1447), alle sculture lignee assegnate alla bottega lombarda dei De Donati e ai tre arazzi fiamminghi “Millefleurs” (sezione sforzesca, dal 1450 al 1535), ai busti reliquiario d’argento approntati intorno al 1663 dall’orafo milanese Aloisio d’Assi (sezione del dominio spagnolo e austriaco, dal 1535 al 1796), al servizio da credenza d’argento che reca il punzone della bottega di Giambattista Sala, risalente alla prima metà del XIX secolo, alla palmatoria d’argento dorato datata 1890, oltre al gruppo degli avori italiani e francesi donati nel 1825  dalla contessa Carolina Durini Trotti (sezione da Napoleone al restauro di Luca Beltrami, tra 1796 e 1908); non mancano peraltro opere  di arte sacra contemporanea , come la Crocefissione in ceramica policroma (ca. 1953) di Lucio Fontana, il Cristo risorto in bronzo (1974) di Luciano Minguzzi e i due grandi cartoni preparatori per le vetrate del presbiterio, eseguiti (1995) da Sandro Chia. Nell’ampliamento “Carlo Gaiani” colpisce in modo particolare l’allestimento. Le opere si snodano in un involucro architettonico su due livelli, di grande suggestione, proposte in modo innovativo grazie all’uso particolare dell’elemento luce, studiato e realizzato attraverso la cooperazione tra i lighting designer e le aziende, in modo tale da potenziare l’opera e facilitarne la comprensione. Il nuovo Museo monzese vuole infatti configurarsi come un vero e proprio laboratorio di ricerca sulle sorgenti luminose e sull’utilizzo della luce, non solo negli allestimenti, ma anche nell’ambito delle pratiche di restauro, come è possibile vedere se usciamo dal Museo e andiamo in duomo, raggiungendo nel transetto sinistro la Cappella di Teodolinda,  risalente al XV secolo, dove è collocata la famosa Corona ferrea (fine dell’VIII secolo, inizi del successivo), formata da sei placche rettangolari in oro, gemme e smalti cloisonné, collegate internamente da una sottile fascia di ferro fissata con chiodi, tradizionalmente ritenuto uno dei chiodi usati per crocefiggere Cristo. Il tema luce è infatti protagonista del restauro dei dipinti murali quattrocenteschi che rivestono le pareti, realizzati dalla bottega lombarda degli Zavattari (su questi pittori e il Duomo monzese, si segnalano i numerosi documenti del Fondo Sironi presso l’Archivio di Stato di Milano, regestati e consultabili). Le raffigurazioni (in 45 scene, su cinque registri) della storia della regina Teodolinda, ricche di dettagli d’oro a rilievo o punzonato, sono dal 2010 oggetto di delicate operazioni di restauro promosse dalla “Fondazione Gaiani”, che ha coinvolto l’ “OSRAM Lighting Services” (con i lighting designer Serena Tellini e Francesco Iannone di “Consuline”). E’ stato messo in cantiere un complesso progetto di studio sul tipo di illuminazione più adatta per consentire lo svolgimento del restauro, attraverso l’identificazione di una soluzione illuminotecnica LED altamente innovativa, più efficace rispetto agli esistenti sistemi basati sulle classiche sorgenti fluorescenti, con risultati di color rendering e qualità della luce in grado di creare le condizioni ottimali per potere riportare al passato splendore i dipinti, facendo percepire perfettamente le cromie e la tridimensionalità dovuto alla stratificazione della pittura e ai diversi materiali utilizzati (lamine metalliche, foglia d’oro, ecc.). Alla fine dei lavori, i risultati del cantiere di restauro della Cappella di Teodolinda, secondo il principio cardine della “Fondazione Gaiani”, verranno messi a disposizione e saranno esportabili per altri progetti di restauro.

 

 

29 giugno 2011

 

Una mostra a Milano (con due Musei), i sei Musei della Diocesi bergamasca e due anticipazioni

 

Dall’11 maggio (e sino al 3 luglio) il Museo Bagatti Valsecchi di Milano ospita una mostra, Il decoro in tavola. Forme e colori di Guido Andlovitz, a cura di Anty Pansera e Mariateresa Chirico. Designer e ceramista di origine triestina (1900-1971), formatosi a Milano presso il Politecnico e l’Accademia di Brera, Guido Andlovitz nel 1923 viene invitato da Società  Ceramica Italiana di Laveno (che vive in quel momento un momento di stanchezza creativa) ad affiancare Piero Portaluppi, art director  dell’azienda, divenendone prima brillante consulente artistico e poi (dal 1927 al 1962) anche direttore. Grazie ad Andlovitz la produzione di terraglia forte, di maioliche e porcellane di Laveno riuscirà ad abbandonare il gusto Liberty per un deciso aggiornamento delle forme e dei decori, improntati da linee essenziali e sagome geometriche, oltre che da un uso particolarmente acceso e vivace del colore.

La visita all’esposizione offre anche la possibilità di aggirarsi nelle sale del Museo Bagatti Valsecchi, nel cuore della vecchia Milano, una delle ‘Case- Museo’ del capoluogo lombardo. Conserva nei suggestivi ambienti del palazzo (la ricostruzione di una dimora signorile di metà Cinquecento) grandi capolavori, oltre che di pittura anche di arte decorativa: maioliche, tessili, legni e avori, orologi da tavola, armi, strumenti musicali arazzi, gioielli e mobili. E l’esposizione milanese, forse spinge anche a visitare il Museo Internazionale Design Ceramico Civica Raccolta di Terraglia, a Laveno Mombello, sul Lago Maggiore (di straordinario fascino, specie durante la stagione estiva, il percorso in battello sul lago, una delle possibilità per arrivare al Museo), da dove provengono alcuni pezzi in mostra, che ha sede in un antico edificio signorile, un museo in fase di riallestimento, con interessanti opere dal Liberty al contemporaneo.

Altre sorprese in Lombardia le possono riservare le visite ai Musei Ecclesiastici della Diocesi di Bergamo, una Rete istituita formalmente nel 2005, “mettendo in comune risorse economiche, pastorali e umane”. Si tratta del Museo Adriano Bernareggi di Bergamo, del Museo parrocchiale di Vertova, del Museo della Basilica di S. Maria Assunta di Gandino, del Museo del Patrimonio di Arte e Cultura Sacra della Parrocchiale di Romano di Lombardia, del Museo d’Arte Sacra  S. Martino della parrocchia di Alzano Lombardo e del Museo Carlo Villa a Rossino di Caloziocorte. Entità museali ben diverse tra loro, accumunate però dalla volontà di conservare, studiare ed esibire opere d’arte che documentino la realtà e la specificità del territorio dove furono prodotte. In questi Musei le arti decorative hanno amplissimo spazio, specialmente le arti orafe al servizio del culto e gli oggetti  legati al fenomeno della pietà popolare. Anche con straordinari capolavori. Basti qui ricordare del Museo di Bergamo la strepitosa croce- reliquiario quattrocentesca in cristallo e metalli pregiati, assegnata all’importante bottega dei Da Sesto, mentre di quello di Gandino (in Valle Seriana, tra XV e XVIII secolo via di transito per i mercati germanici), il grande nucleo di oreficerie eseguite dai maestri d’Augusta e d’Oltralpe. Nelle sale del MACS (il Museo di Romano di Lombardia), vivacissimo nelle proposte espositive (dal 14 aprile al 26 giugno, per esempio, si può ammirare la collezione di dipinti del Credito Valtellinese con la mostra Dal Rinascimento a Andy Warhol) e in cui si ospita una tipologia di oggetti molto ampia (inclusa una collezione di ‘santi sotto campana’ e alcuni esemplari delle cosiddette ‘madonne lignee da vestire’), si ammira anche una piccola Pace lombarda quattrocentesca, con la raffigurazione di Cristo ottenuta in niello.

Questa Pace, con altri pezzi d’oreficeria (tra XIV e XV secolo), realizzati in smalto (en ronde- bosse, traslucido, ‘a pittura’), miniature, tavole lignee e carte da giuoco (i ‘Tarocchi’), eseguiti dagli artisti operanti nel Ducato di Milano, sarà esposta in una mostra al Museo Diocesano di Milano che si aprirà il 29 settembre (e si chiuderà il 30 gennaio).

La prima esposizione dedicata all’arte orafa del Ducato milanese tra Visconti e Sforza, un argomento che aveva attratto l’attenzione di Maria Accascina e al quale la grande studiosa siciliana dedicò pagine intelligenti e acute.

Ma dell’interesse di Maria Accascina verso l’oreficeria milanese, si parlerà nel prossimo numero.