Bianche Figurazioni


“Bianche Figurazioni. Biscuits neoclassici dalla collezione Renda Pitti” – Inediti d’arte al Museo Diocesano di Monreale

di Lisa Sciortino

 

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A vent’anni dalla scomparsa di Salvatore Renda Pitti[1], il Museo Diocesano di Monreale ha esposto nella sala San Placido, dal 22 novembre 2012 al 22 gennaio 2013, tutta la collezione di biscuits a soggetto classico e mitologico dallo stesso donata, rendendogli così omaggio.

Il Museo Diocesano, sin dall’ideazione di Maria Concetta Di Natale, aveva dedicato a Renda Pitti una sala esponendovi opere a carattere sacro, sottolineando in tal modo l’importanza del passaggio dal collezionismo privato alla fruizione pubblica. Sono esposti pregevoli dipinti, maioliche, suppellettili sacre d’argento, reliquiari, incisioni, orologi, manufatti in ceroplastica, avorio, alabastro, tartaruga, lapislazzuli, madreperla.

Le opere scelte per la mostra Bianche figurazioni[2], per soggetto e tematica non sono stati selezionati a far parte dell’itinerario permanente del Museo Diocesano, ma l’occasione dell’esposizione temporanea, con un apposito allestimento curato in sinergia con la Soprintendenza BB.CC.AA. di Palermo, ha consentito di presentare al pubblico questi splendidi manufatti finora mai esposti e tutti inediti.

La selezione delle opere ha tenuto conto della considerazione che – secondo l’etica neoplatonica che riprende l’ecclesiologia dei Padri[3] – nella classicità si ritrovino prefigurazioni del cristianesimo. Così il radioso Apollo, identificato con il Sole, è prefigurazione del “Nuovo Sole” che sorge[4]; Mercurio, messaggero degli dei, Ercole e Orfeo, che discesi agli inferi se ne traggono vittoriosi, Bacco, legato al vino che diviene specie eucaristica, Prometeo che dona il fuoco, diventano tutte prefigurazioni del Cristo[5]. Il bove, in antico animale sacrificale, diviene segno del sacrificio di Cristo[6]; Atena, nel Cristianesimo, è allegoria della virtù cardinale della prudenza[7], mentre Diana è assunta a simbolo della castità dei vocati[8]; Iside è la “grande madre”, la “madre del mondo”[9] che ha il suo corrispettivo in Maria Madre di Dio.

La mostra ha esposto circa 40 biscuits[10] realizzati dallo scultore Filippo Tagliolini che riproducono in piccolo statue della classicità greca e romana, figure allegoriche e mitologiche.

Filippo Tommaso Tagliolini (1745-1809), già allievo dell’Accademia di San Luca a Roma e reduce da importanti esperienze lavorative maturate presso la fabbrica veneziana dei fratelli Cozzi e quella Imperiale di Vienna[11], fu chiamato nel 1781 alla Real Fabbrica Ferdinandea dal direttore artistico Domenico Venuti[12]. L’organizzazione della fabbrica riservava al capo-modellatore l’ideazione dei prototipi, mentre i bozzetti dei biscuits venivano successivamente affidati ai collaboratori suoi dipendenti perché fossero definiti[13]. Tagliolini, dunque, ebbe l’opportunità di spaziare in diversi campi dell’espressione artistica, dalla realizzazione della figura umana tradizionale alle riproduzioni di opere scultoree dell’antichità classica. La particolare inclinazione al ritratto gli consentì di allontanarsi dal puro accademismo a favore, ad esempio, della produzione dei busti della famiglia reale che lo elevarono alla condizione di scultore “alla moda”[14]. Il punto di partenza della creazione di Tagliolini è, pertanto, l’intento di armonizzare il bello ideale, mutuato dall’arte classica, con l’analisi del vero[15]. Il divieto di completare con il colore i biscuits risponde al desiderio di emulare la statuaria nobile marmorea. Nel periodo neoclassico, peraltro, il rinnovato interesse per gli studi sull’antichità, anche grazie alle scoperte di Ercolano e Pompei, fa riscoprire ai grandi viaggiatori le collezioni accumulate da sovrani e pontefici nelle wunderkammer, volendo divulgarne gli splendidi contenuti.

Trova così giustificazione la riproduzione in miniatura di alcuni capolavori di età classica, puramente bianchi così come allora conosciuta la scultura classica[16], esposti al Museo Diocesano durante la mostra Bianche figurazioni come l’Apollo di Belvedere (Fig. 1), di cui nella collezione è un piccolo busto, copia di una celebre statua marmorea risalente all’età classica, un tempo collocata nel cortile del Belvedere (da cui il nome) in Vaticano e oggi esposta ai Musei Vaticani. I capelli a boccoli del dio Apollo ricadono fluidi sul collo e sono raccolti sul capo dallo strophium, una fascia ornamentale assunta a simbolo di divinità o sovranità.

Il Mercurio del Museo Diocesano (Fig. 2) ricalca la scultura in marmo degli Uffizi riprodotto anche in un altro esemplare in biscuit custodito al Museo Nazionale di Capodimonte[17].

L’Ercole Farnese della collezione (Fig. 3), riproduce la scultura di Glycon Ateniese del Museo Archeologico Nazionale di Napoli ascrivibile al III secolo d.C. a sua volta copia dell’originale in bronzo realizzata da Lisippo nel IV secolo a.C.[18]. L’opera rappresenta Ercole, stanco al termine delle fatiche, che si riposa appoggiandosi alla clava tenendo, con la mano destra dietro la schiena, i pomi d’oro rubati alle Esperidi.

La Flora Farnese (Fig. 4), esposta in mostra, riprende quella in marmo del Museo Archeologico Nazionale di Napoli ascrivibile al II secolo d.C., a sua volta copia di una statua greca di Afrodite del V secolo a.C. Rinvenuta a Roma intorno al 1532 presso le terme di Caracalla, fu poi collocata nel cortile di palazzo Farnese. Ereditata dai Borbone di Spagna, fu trasferita a Napoli dopo il 1787[19]. Flora indossa un leggero chitone che lascia scoperta la spalla. La mano destra solleva il lembo della veste, mentre la sinistra regge un piccolo bouquet di fiori.

L’Arianna dormiente (Fig. 5) della collezione Renda Pitti rievoca quella di Villa Corsini a Firenze, copia da un originale greco del II secolo a.C. La figura è rappresentata nel sonno, distesa su un giaciglio roccioso in parte rialzato a sostenerne il dorso. Il braccio destro è posato sul capo, che è rivolto verso l’alto e sorretto dalla mano sinistra, la gamba destra è distesa sopra la sinistra flessa. La donna indossa un chitone cinto sotto il seno, fermato solo sulla spalla destra così da lasciare scoperti i seni e il ventre. Un ampio mantello vela il capo e il dorso, circonda i fianchi e si avvolge strettamente attorno alle gambe ricadendo in parte sul letto roccioso.

È stato esposto in mostra anche il biscuit che raffigura la Diana di Versailles del Louvre (Fig. 6), copia romana da originale di Leocare del IV secolo a.C., ripresa nell’atto di estrarre con la mano destra la freccia dalla faretra, mentre la sinistra tiene un cervo per le corna.

La Pallade in trono (Fig. 7), scelta per il manifesto dell’evento Bianche figurazioni, si ispira a quella del Palazzo Senatorio di Roma. L’inventario del 1807 della Reale Manifattura Ferdinandea elenca nove statuette raffiguranti la dea Pallade valutate circa sei ducati ciascuna[20]. Opera identica a quella del Museo Diocesano di Monreale si conserva al Museo di Capodimonte, ove l’esemplare è però privo della lancia.

Una delle attività più proficue della Real Fabbrica Ferdinandea fu certamente quella di produrre biscuits raffiguranti i busti di illustri personaggi romani, anche alla luce delle scoperte durante gli scavi di Ercolano e Pompei. L’inventario di fabbrica del 1807 elenca un migliaio di busti, di medie e piccole dimensioni, realizzati per la vendita. La produzione di busti di imperatori dell’antica Roma si concentrò soprattutto fra il 1800 e il 1806[21]. In mostra ne sono stati esposti alcuni che ritraggono imperatori, tutti riconducibili alla mano di Filippo Tagliolini, tra cui Augusto (Fig. 8), riconoscibile dal modellato del viso affine alla scultura in marmo, che lo raffigura per intero, esposta ai Musei Vaticani.

Tra le venti figure di personaggi citati negli elenchi del 1807 della Real Manifattura Ferdinandea[22] è anche l’Eraclito della collezione Renda Pitti (Fig. 9), esposto in mostra.

La Nota de’ prezzi del 1805[23], che cataloga una serie di lavori realizzati presso la Real Fabbrica, cita l’Ercole e Jole (Fig. 10), in esposizione e analogo a quello del Museo Nazionale di Capodimonte.

Al Museo Diocesano anche una serie di coppie di vasi neoclassici realizzati a scopo ornamentale. Nell’inventario della Real Fabbrica Ferdinandea del 1807 si elencano, infatti, oltre mille vasetti (Figg. 11 a-b-c) perlopiù prodotti tra il 1780 e il 1790[24]. Le opere sono segnate alla base dalla N coronata.

La Sacerdotessa con il vaso sacro (Fig. 12), identificata anche con Psiche o Pandora[25], è una delle ventisei figure di sacerdotesse citate nell’inventario di vendita della Real Fabbrica Ferdinandea del 1807, dal costo di cinque-sei ducati[26]. L’opera del Museo Diocesano di Monreale è identica a quella del Museo Nazionale di Capodimonte, pur presentando dimensioni minori.

La Nota de’ prezzi dei lavori realizzati presso la Real Fabbrica tra il 1796 e il 1805 cita un plastico raffigurante Arianna e Amorino[27] e la collezione del Museo ne conserva un esemplare (Fig. 13).

Tra gli animali realizzati in biscuit, Il Museo Diocesano ha esposto Mucca e vitellino (Fig. 14) e Bove (Fig. 15), ma fanno parte della collezione pure Orso e Cavallo e puledro[28].

Tutti i manufatti fin qui citati sono opera del modellatore Filippo Tagliolini, tuttavia l’esposizione ha presentato diversi altri manufatti riferibili più genericamente alla Real Fabbrica Ferdinandea.

Il Ganimede con l’aquila (Fig. 16), ad esempio, di manifattura napoletana degli anni 1800-1849, riproduce il celebre Ganimede del Museo del Bargello, opera in marmo di Benvenuto Cellini del 1550[29].

Di produzione della Real Fabbrica Ferdinandea è il Fanciullo con anfore, realizzato tra il 1785 e il 1808, dal delicato modellato e marcato sotto la base dalla N coronata (Fig. 17).

Il Ganimede con l’aquila (Fig. 18), che indossa il copricapo frigio, è raffigurato accanto a Zeus trasformato in volatile. Realizzata tra il 1790 e il 1810 da Giovanni Volpato[30], come si evince dalle lettere sotto la base: G.V.LTO, l’opera riproduce quella romana in marmo del II secolo dei Musei Vaticani a sua volta copia da un originale greco del tardo IV secolo a.C.[31]. Riconducibili a Giovanni Volpato ed esposti in mostra anche una coppia di Putti ‘fabbricacuori’ segnati dalla sigla G.Vo. dell’autore e realizzati tra il 1786 e il 1815. I due manufatti, posti su base ovoidale, raffigurano due puttini che rispettivamente modellano ed infornano i cuori (Figg. 19 a-b).

Continuando con la produzione italiana, la mostra Bianche figurazioni ha esposto opere inedite di Manifattura Giustiniani[32] come l’Esculapio (Fig. 20), affine a quello del Museo Archeologico di Napoli, in terraglia ascrivibile agli anni 1785-1820, e il Filosofo Metrodoro (Fig. 21), biscuit realizzato tra il 1809 e il 1830, entrambi segnati dall’iscrizione “GIUSTINIANI”, ma anche il Saliera con l’allegoria dell’Avarizia (Fig. 22), in terraglia e databile 1800-1848. La mostra ha presentato, infatti, un piccolo nucleo di terrecotte invetriate che si accomunano ai biscuits per la scelta del colore bianco della finitura e per il soggetto legato al mito e alla storia antica.

Molte manifatture europee, che non erano entrate in possesso del segreto gelosamente custodito del bianchissimo impasto della porcellana e del biscuit, produssero terrecotte il cui biscotto doveva essere trattato con vetrina per l’ottenimento di una superficie chiara seppur non bianchissima. Anche a Palermo due importanti manifatture, quella di Sperlinga e quella del barone Malvica[33], si cimentarono in tali produzioni, riservate comunque ad una clientela d’elite nonostante i minori costi rispetto al biscuit. 

Tra i biscuits di Manifattura di Sèvres[34], esposti in mostra, sono e La Musa Urania: l’Allegoria della Geometria (Fig. 23), sotto la cui base si legge “SEVRES”, entrambe produzioni della seconda metà del Settecento; Figura muliebre (Fig. 24), del 1753-1847 e raffinata nel modellato, reca sotto la base il noto marchio con le due “L” incrociate; il Gruppo di putti (Fig. 25), realizzato nella seconda metà del XVIII secolo da Étienne Maurice Falconet (1716-1791) per la Manifattura di Sèvres, presenta pure il marchio con le due “L” incrociate.

La collezione Renda Pitti conta anche altre opere di manifattura francese come la splendida Coppia di Baccanti (Figg. 26a-b), inebriati e danzanti, ed Ebe (Fig. 27), la bellissima fanciulla mescitrice del nettare degli dei sull’Olimpo, opere degli anni 1753-1847, ma anche l’Orologio con Leda e il cigno (Fig. 28) della prima metà del XIX secolo.

 



[1] Cfr. L. Sciortino, Salvatore Renda Pitti collezionista, in Itinerari d’arte in Sicilia, a cura di G. Barbera e M.C. Di Natale, Centro Studi sulla civiltà artistica dell'Italia meridionale "Giovanni Previtali", Milano 2012, pp. 434-438.

[2] Ringrazio la Dott. Maria Reginella per i preziosi suggerimenti e il competente contributo scientifico.

[3] Cfr. H. Rahner, L’ecclesiologia dei Padri, Roma 1971.

[4] H. Rahner, L’ecclesiologia…, 1971, p. 159ss.

[5] J. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte, Milano 2007, ad voces.

[6] J. Hall, Dizionario…, 2007, ad vocem.

[7] In relazione ad un brano di Matteo (10,16): “Siate prudenti come serpenti”.

[8] H. Rahner, L’ecclesiologia…, 1971, p. 245.

[9] H. Rahner, L’ecclesiologia…, 1971, p. 242.

 
[10] S. Abela, Porcellane e biscuit delle manifatture europee nelle collezioni di Salvatore Renda Pitti del Museo Diocesano di Monreale, tesi di laurea in Lettere Moderne, relatore Prof. M.C. Di Natale, a.a. 2001/2002.

[11] A. Gonzales Palacios, Lo scultore Filippo Tagliolini e la porcellana di Napoli, Torino 1988, pp. 183-190.

[12] C. Bayliss, D. Borroni, L. Melegati, S. Minarini, A. Fusai Nannini, E. Strada, Collezione Capodimonte, Novara 2002, p. 90.

[13] Il lavoro a “catena di montaggio” rende difficoltosa l’attribuzione delle opere a questo o a quel modellatore della fabbrica. Qualche aiuto in tal senso è offerto dall’elenco dei lavori congedati dalla Real Fabbrica Ferdinandea tra il 1796 e il 1804. Cfr. A. CaròlaPerrotti, La porcellana della Real Fabbrica Ferdinandea 1771-1806, Napoli 1978, pp. 168-169.

[14] A. CaròlaPerrotti, La porcellana…, 1978, p. 167.

[15] L. Sciarra, La porcellana delle fabbriche borboniche e i biscuits del Museo Civico Gaetano Filangeri (Napoli 1743-1806), tesi di laurea in Lettere Moderne, relatore Prof. M.C. Di Natale, a.a. 2001/2002.

[16] Solo oggi è noto, infatti, che la scultura classica era policroma.

[17] A. Gonzales Palacios, Lo scultore…, 1988, p. 170.

[18] Cfr. C. Gasparri, Le sculture Farnese. Storia e documenti, Milano 2007.

[19] A. Ruesch, Guida illustrata del Museo Nazionale di Napoli, Napoli 1911, p. 71; Le Porcellane dei Borbone di Napoli. Capodimonte e Real Fabbrica Ferdinandea 1743-1806, catalogo della mostra a cura di A. CaròlaPerrotti, Napoli 1986, p. 497; A. Gonzales Palacios, Lo scultore…, 1988, p. 171.

[20] A. Gonzales Palacios, Lo scultore…, 1988, p. 172.

[21] A. Gonzales Palacios, Lo scultore…, 1988, p. 168.

[22] A. Gonzales Palacios, Lo scultore…, 1988, p. 173.

[23] A. Gonzales Palacios, Lo scultore…, 1988, p. 158.

[24] A. Gonzales Palacios, Lo scultore…, 1988, p. 175.

[25] A. Gonzales Palacios, Lo scultore…, 1988, p. 171.

[26] Ibidem.

[27] A. Gonzales Palacios, Lo scultore…, 1988, p. 158.

[28] Per i biscuits raffiguranti animali di produzione della Real Fabbrica Ferdinandea cfr. A. Gonzales Palacios, Lo scultore…, 1988, p. 50.

[29] E. Schwarzenberg, Benvenuto Cellini: un torso antico restaurato come Ganimede, in Palazzo Pitti: la reggia rivelata, a cura di G. Capecchi, Firenze 2003, pp. 138-153. Cfr. pure A. Paolucci, Cellini, Firenze 2000.

[30] I Trionfi di Volpato: il centrotavola del Museo di Bassano del Grappa e il biscuit neoclassico, a cura di H. Honour, Ciniello Balsamo 2003.

[31] A. Gonzales Palacios, Lo scultore…, 1988, p. 172.

[32] L. Melegati, Ceramica, Milano 2000, p. 173.

[33] Cfr. Terzo fuoco a Palermo 1760-1825: ceramiche di Sperlinga e Malvica, catalogo della mostra a cura di L. Arbace e R. Daidone, Palermo 1997.

[34] A. d’Albis, Traité de la porcelaine de Sèvres, Dijon 2003.